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Maurizio Santin

intervista
Maurizio Santin
Chef Città del Gusto
Sono un sognatore

Fresco di apertura di un locale nel quartiere Salario a Roma, Maurizio Santin, miglior Pasticcere d’Italia 2008, racconta a Roma gourmet della passione per i viaggi, dei sogni, dei piatti feticcio, di cosa significhi essere figlio di Ezio e Renata Santin. E naturalmente della sua idea moderna di Pasticceria

Quando nasce il suo interesse per la cucina, e quanto ha contato l’essere figlio d’arte?
È vero, sono figlio d’arte, ma da piccolo vivevo con mia nonna a Milano. I miei genitori aprirono L’Antica Osteria del Ponte nel 1977, quando avevo 11 anni, e io sono andato a vivere a Cassinetta nel 1982. Fino a 16 anni il ristorante l’ho quindi vissuto relativamente poco; ci andavo solo la domenica e la cosa bella era stare con i miei genitori e andare in campagna, non mi attirava l’dea della cucina. Al termine del liceo, mi sono trovato al bivio fra proseguire gli studi o iniziare a lavorare e ho pensato: “ci provo”.

E quando nasce la passione per i dolci?
A quel tempo lavoricchiavo con i dolci, ma non mi facevano impazzire, nel senso che non li amavo più del salato. Oggi no, è cambiato tutto.
Dopo la scelta di lavorare nella ristorazione andai a lavorare alcuni mesi da un cuoco a Zurigo e al ritorno tutto è iniziato. Sono stato un anno in Francia, frequentando prima tre corsi di Le Notre a Parigi. E poi Georges Blanc, il servizio militare, Robouchon e Alain Ducasse a Montecarlo.
Quindi io sono nato chef un po’ per caso e poi ho trovato la mia vocazione, anche perché ho avuto la fortuna di diventare bravo in una cosa, i dolci, dove mio padre, pur essendo polivalente, non era un genio e ho trovato così un mio spazio. Ed era stata mia nonna a consigliarmi di scegliere i dolci.
Ho un solo grande rimpianto. Avrei dovuto fare il pasticcere da subito e dedicarmi solo a quello che mi piaceva veramente tanto. Del resto, avendo un ristorante di famiglia, era impossibile non “prendere le pentole in mano” come dice mia madre.

La persona fondamentale nella sua prima esperienza professionale è stata dunque la nonna prima che il papà?
Mia nonna cucinava bene, perciò tutto l’amore per i dolci me lo ha trasmesso lei. Io, e lo ribadisco sempre, faccio il cuoco, faccio il ristoratore ma per me fare il cuoco è un lavoro e fare il pasticcere è un divertimento. Non a caso il
Cuoco nero si basa su Maurizio Santin e Gaia Giordano che partecipa attivamente alla preparazione del menu. Io lo preparerei in una settimana, con lei diventa veloce. In pasticceria invece fare le cose per me è di una semplicità disarmante. posso ricevere consigli, ma non ho bisogno di aiuto.

In pasticceria segue delle regole o si considera più libero?
La pasticceria è matematica applicata. Seguo delle regole, ferree. Non solo nella produzione, ma anche nell’inventarmi un dolce. Faccio sempre un paragone con la Spagna che ha creato una nuova ristorazione (che secondo me non avrà vita così lunga rispetto a quella francese o italiana) attraverso la genialità di Ferran Adrià. Molti l’hanno seguita, altri no. Ma in quello che riguarda la pasticceria non hanno sfondato in nulla. Se si prendono i libri di pasticceri bravi come Torreblanca o Balaguer, si vede che tutti si rifanno alla pasticceria francese e in particolare al suo genio, Pierre Hermé. Poi evolvono, ma la scuola è quella. Io sono molto più concreto. Il dolce deve essere buono.

Cosa la stimola a cambiare, innovare, inventare continuamente?
Gli stimoli arrivano dalla Francia. Leggo i libri di pasticceria e da lì lavoro. PH10 Patisserie di Pierre Hermé credo sia la bibbia di ogni pasticcere. Lui è l’esempio pratico di come si fa la pasticceria per la sua concretezza nell’usare gli ingredienti giusti e non due milioni di ingredienti per creare il dolce perfetto. Lui è il genio della pasticceria perché l’ha resa semplice senza tanti voli pindarici, magari usando solo due o tre ingredienti, magari usando il wasabi, perchè si può, ma non mettendo anche altre settecento cose.
Quale parte di se stesso mette quindi nel suo modo di cucinare?
La testa, la razionalità.

Lei è un cuoco che cucina più per se stesso (per esprimersi) o per gli altri (per farsi amare)?
Il mio ego di chef è smisurato. Cucino perché mi piace quando mi dicono che è buono, quando ho reso felice una persona che ha mangiato un mio dolce, quando una persona viene qui perché vuole mangiare un mio dolce. Questo mi dà lo stimolo.

Chi viene a mangiare al Cuoco nero si porta via un po’ di lei?
Della pasticceria si, sicuramente. Ma anche della cucina, perché al Cuoco nero voglio fare ciò che mi e ci piace. Non voglio darmi delle regole.
Amo molto l’Asia, l’ho girata parecchio e amo i gusti forti di quella cucina. Non amo smodatamente la pasta invece. Per esempio ho preso un piatto della Thailandia che mi piaceva, una zuppetta, e l’ho ripreso, limato, togliendo gli spigoli che derivano dall’uso forte delle spezie e del piccante e l’ho inserito in carta. Queste sono le cose che a me e a Gaia piace fare.

Come nasce il sodalizio con la chef Giaia Giordano?
Gaia è stata una mia allieva e quindi mi sono affidato a una persona che conoscevo, nella quale credevo per il suo rigore, che somiglia un po’ al mio, e poi perché ritenevo che in due in cucina potessimo realizzare qualcosa di divertente. Andiamo molto d’accordo e io non sono un accentratore, chi sta in cucina lavora tanto ed è giusto che sia ripagato.
C’è un ingrediente preferito e che in particolare la ispira?
Uno solo in assoluto: il cioccolato. Perché è l’ingrediente della cucina nel mondo. Altre ispirazioni le traggo dall’Asia.
I dolci più degli altri alimenti sono associati al peccato di gola. Nel desiderio del cibo ci deve essere controllo o si può desiderare all’infinito?
Ci deve essere un limite, come c’è nella vita di tutti i giorni. Ad abbandonarsi si rischiano danni e comunque il cibo diventerebbe stucchevole.
Di gola si può morire?
Si, come si può morire per amore si può morire di gola. Io sono un romanticone.
Ascolta musica quando cucina e quale?
Si, la scelta del tipo di musica dipende da ciò che faccio. Quando devo essere concentrato ascolto solo la “mia” musica, ossia il rock. Sono un appassionato di Aerosmith, Van Halen… quando mi devo caricare ascolto solo quello. A volte è importante anche il silenzio. Per esempio se ho una cena importante, o con tante persone, esco 10 minuti per restare da solo, in silenzio. Forse sono un po’ matto.
Ci sono piatti che ha ideato e poi non ha voluto condividere con “chiunque” per non farli diventare routine?
No, assolutamente. Io non tengo nulla delle mie ricette, regalo tutto. Ho solo deciso che non farò mai più il flan di cioccolato, perché l’ho inventato io e lo fanno tutti.
Tra i sensi – Vista Olfatto Tatto Sapore – quale preferisce?
Il tatto, perché mi piace sentire, manipolare.
Lei ha appena coronato il sogno di aprire un ristorante tutto suo. Cosa spera per il futuro?
Il mio sogno era di avere un ristorante polivalente dove poter fare ciò che mi piace. Un giorno spero di poter ricavare all’interno del Cuoco nero la pasticceria e la scuola di cucina. Ho insegnato tanto e il mio sogno è ancora quello di insegnare.
Sedersi a tavola crea sempre delle aspettative. Lei preferisce clienti che hanno sentito parlare della sua cucina e che sono quindi già “preparati” o clienti totalmente “digiuni”?
Il cliente “digiuno” è più facile da colpire, ma se colpisci quello che ha delle aspettative hai vinto, su tutti i fronti.
Il suo piatto feticcio?
Ci sono piatti ai quali sono molto legato. Per esempio il risotto, essendo io milanese. Mi piace farlo, mi piace la sua cremosità. Poi sono molto legato al tiramisù che è il mio dolce preferito. Mangio tanto pesce crudo perché mi piace, il resto lo mangio, ma non ho delle fissazioni. Pur non essendo un fissato della pasta, quella che mi piace di più è la carbonara.
La ricetta che vorrebbe realizzare?
C’è un dolce di cioccolato che ho mangiato e che ho adorato… sono rimasto folgorato ma non voglio neanche provare a farlo perché era talmente buono che ho paura che non mi ci potrei avvicinare.
Mi sono invece ripromesso di fare il “secondo” flan al cioccolato, il secondo dolce che tutti vorranno fare.
Un attento buongustaio può capire dal piatto la sua personalità?
Può capirla già leggendo la carta, perché contiene sia proposte tradizionali, sia piatti un po’ strani e da lì capisce che sono un po’ naif. Nei dolci poi è lampante: su 7 dolci, 6 sono a base di cioccolato.
Lei ha una grande ammirazione per Joël Robuchon. Cosa contraddistingue o separa la ristorazione francese rispetto a quella italiana?
La rigeure. Il metodo, la sperimentazione. E anche la capacità di vendersi Noi abbiamo materia prima molto più varia visto che l’Italia si estende dall’Europa all’Africa. Il caso dei formaggi è emblematico: i francesi da un formaggio di capra hanno ricavato infinite varietà, noi abbiamo un patrimonio caseario ricchissimo, in ogni zona d’Italia si trovano tante tipologie diverse, eppure mangiamo il solito emmenthal, pecorino o grana. Lo stesso vale per la pasticceria: noi cosa abbiamo tanto di meno rispetto a loro? Quasi niente, eppure anche se i nostri dolci al Sud sono straordinari, non riusciamo a imporli a un gusto internazionale perché sono troppo dolci o difficili da importare…
In Francia buona parte delle persone ha anche una diversa consapevolezza rispetto al cibo. Io ho lavorato da Georges Blanc a Vonnas. Pur essendo in un paesino in mezzo al niente, la domenica andavano a mangiarci anche i contadini. Sceglievano il menu meno costoso, certo, ma volevano sperimentare, mangiare qualcosa di diverso. Da noi non è così e più si scende e più è evidente. Io dico che Ciccio Sultano per avere 2 stelle in Sicilia ne merita 6, Alfonso Iaccarino quando ne prese 3 ne meritava 20. Qui a Roma Anthony Genovese gioca a squash con una palla di metallo.
Se non avesse scelto questa professione, cosa avrebbe fatto?
S
ono geloso della coppia Turisti per caso che ha girato il mondo, come di tutti quelli che lavorano nel National Geographic. Il mio sogno è di essere un viaggiatore. Vivere i luoghi per un po’, poi andarsene e filmare tutto… si, questo era il mio lavoro. Il mio sogno è andare in Tibet.
Sono un viaggiatore e un sognatore. Da bambino volevo essere un giocatore dell’Inter ma non è successo, perché non sono uno sportivo, sono un tifoso.
A quando un dolce dedicato all’Inter?
Non l’ho ancora fatto un dolce dedicato all’Inter, perché non ha ancora vinto la Coppa Campioni. Se dovesse vincere la Coppa dei Campioni mi presenterò a Moratti e gli darò il dolce dicendo: ecco, questo è il dolce per lei.

Ricette dello Chef Maurizio Santin su Roma gourmet

La foto grande in alto è tratta dall’album pubblicato nella pagina di Maurizio Santin su Facebook

 

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